Esistono due categorie di piloti: quelli che vincono ma non emozionano e quelli che regalano brividi ai tifosi. Gilles Villeneuve è appartenuto alla seconda specie. La sua fama è stata inversamente proporzionale al numero di successi che ha conquistato. E questo perché le gesta del ferrarista hanno avuto il carattere epico e sovrumano delle imprese impossibili, tanto da farlo entrare nell’immaginario più per certe azioni temerarie che non per i risultati ottenuti. La fine prematura l’ha reso una leggenda, lasciando un interrogativo senza risposta: sarebbe mai diventato campione del mondo?
A trenta anni dalla morte la Gazzetta omaggia il pilota canadese con un libro sul grande Gilles.
Enzo Ferrari gli voleva bene. Tutti gli volevano bene, a parte probabilmente le sue macchine che spremeva all’inverosimile. Gilles Villeneuve era prima di tutto un uomo onesto, sincero, genuino, cristallino, che amava solo correre, che odiava tutto quello che gravita intorno alla F.1. Sportivamente era un fenomeno, uno dei piloti più veloci della storia. Un fuoriclasse che ha fatto innamorare l’Italia, anche se non ha mai vinto un Mondiale.
A 30 anni dalla morte (8 maggio 1982 nelle prove del GP del Belgio a Zolder), La Gazzetta dello Sport gli dedica un libro appassionante, intenso, pieno di ricordi illustri, di retroscena, di racconti, aneddoti e immagini inedite.
Il volume “Gilles” è in edicola a 12,99 euro e si avvale, oltre che di firme prestigiose, anche della testimonianza della moglie Joanna, del figlio Jacques, di Scheckter, iridato ’79 amico e compagno di squadra.
E poi di Arnoux, il francese con cui ha dato vita al duello di Digione ’79, probabilmente la più bella battaglia della storia della F.1. Quindi di Piero Ferrari, figlio del Commendatore. Piccinini e Forghieri, simboli della Ferrari a cavallo fra gli anni ’70 e ’80.